Avevamo apprezzato la linea dell'attuale amministrazione sulla soluzione del problema Igica, almeno nell'impostazione formale e nella costruzione degli atti che avevano portato a quella soluzione. Due consigli comunali sull'argomento (uno chiesto dall'opposizione e un altro fatto direttamente dalla maggioranza) hanno dato il senso, smarrito da qualche anno, di un corretto funzionamento del Consiglio comunale e del suo ruolo fondamentale. Con il secondo consiglio comunale la maggioranza ha dato un indirizzo preciso al Sindaco: tentare un salvataggio dell'azienda attraverso la nomina di un commissario liquidatore che deve verificare bene la situazione economico finanziaria, gestire al meglio debiti e crediti, portare avanti l'azienda sul piano del funzionamento operativo. In realtà avrei personalmente ipotizzato due commissari, uno per la parte economico finanziaria e uno per quella operativa che è strettamente connessa al salvataggio, ma tant'è.
Bene quindi l'impostazione e tutto.
E allora? che cosa è successo che, appena nominato, il commissario si è dimesso? Non si è nemmeno insediato, non ha visto nemmeno i conti, le carte, e già si è dimesso! Non credo che sia stato nominato dal Sindaco senza averne prima concordato con lui la indicazione...
E allora che cosa è successo?
E' successo che l'attuale amministratore delegato, Gennaro Bruno, quello che presumibilmente ha portato sull'orlo del fallimento l'Igica, insieme al suo nume tutelare, Salvatore Varriale, essendo ancora autorevoli esponenti del PDL, probabilmente sono intervenuti sui vertici provinciali e quelli regionali dello stesso PDL e hanno costretto verosimilmente il commissario liquidatore designato, tecnico di area socialista, a recedere dall'accettare l'incarico.
Da qui la domanda: chi decide le sorti e il futuro dell'azienda caivanese, il Sindaco o i vertici napoletani della PDL? i caivanesi o gli interessi politici napoletani?
Ai posteri l'ardua sentenza...
sabato 31 luglio 2010
sabato 10 luglio 2010
I partiti sono morti, evviva i partiti
La scorsa settimana si è tenuto il congresso cittadino del Partito Democratico e, sabato, all’apertura abbiamo avuto il solito rituale della relazione del segretario uscente e del saluto degli altri partiti politici. Un rituale abituale che ricalca solitamente anche quello dei congressi nazionali. L’attesa di quanto avrebbe detto il segretario uscente, Iuri Bervicato, dopo il disastroso esito elettorale consumatosi alle ultime amministrative e la partecipazione dell’intero panorama politico caivanese (c’erano il centro destra e il centro sinistra, c’era anche Felice Califano come categoria sociale e perfino Pippo Papaccioli in rappresentanza di una associazione). Mancavano solo i due partiti alleati del PD alle ultime elezioni amministrative, Rifondazione Comunista e Italia dei Valori.
Voglia di più politica? Sarebbe un segnale davvero positivo visto il degrado nel quale è precipitato la politica a tutti i livelli. Un segnale di ripresa della partecipazione? Anche questo sarebbe un segnale positivo visto il generale disimpegno che vede le giovani generazioni in tutt’altre faccende affaccendate (anche per colpa dei partiti stessi).
Ovviamente non entro nel merito né della relazione del segretario uscente, né dei numerosissimi interventi delle delegazioni presenti che hanno sostanzialmente riempito la sala.
L’occasione è per riflettere sulla ormai “morte” dei partiti come sistema su cui si fonda la politica, cioè la fine di quel ruolo che ha caratterizzato la nostra vita attraverso la formazione e selezione dei gruppi dirigenti, la determinazione del consenso e il suo corretto uso, la mediazione positiva tra i diversi interessi dei diversi gruppi sociali, il richiamo ad una comune etica, ad un comune sentire, fosse anche di natura ideologica, al corretto uso delle istituzioni per poter decidere il meglio per una comunità, piccola o grande che sia.
Questo ruolo valeva anche nel periodo peggiore della nostra storia politica, quella tangentopoli che ha visto i partiti fare incetta di finanziamenti illeciti. Cosa assolutamente deprecabile che giustamente è stata scoperta e combattuta.
Ma oggi siamo in una condizione ben peggiore. La corruzione è dilagata a livello personale e/o di piccole consorterie. I partiti hanno perso completamente autorevolezza nei confronti degli eletti, sbagliando già nella definizione delle liste che vedono candidate troppe persone che non hanno acquisito alcun merito per esserlo, non avendo fatto nessun percorso politico serio. E questo determina inevitabilmente il trasformismo, il passaggio di casacca continuo, la sostanziale incapacità e impossibilità di decidere quello che è giusto e quello che è il meglio per la collettività.
Quindi i partiti sono morti. Ma c’è qualche altra cosa all’orizzonte che li possa sostituire? Si certo, le associazioni, le liste civiche, le fabbriche, gli atelier, le parrocchie ecc… Ma quando ci sarà da formare le liste elettorali per quella che viene definita dagli studiosi “la sintesi perfetta”, l’espressione del voto, chi lo farà e chi risponderà del proprio agire, delle cose che farà una volta ricevuti i consensi?
Alle ultime amministrative si sono presentate 19 liste; di queste solo 6 si rifanno ad un partito e hanno formalmente una sede; di questi 6 solo 4 forse riuniscono normalmente i direttivi o si vedono collettivamente per fare riunioni per discutere dei problemi di Caivano; di questi 4 solo 3 forse fanno dei congressi per eleggere i proprio gruppi dirigenti.
I cittadini non sanno nemmeno che hanno votato per liste cui non potranno chiedere conto a nessuno.
Se l’analisi la spostiamo dai partiti ai candidati, la questione diventa ancora più drammatica. Ne è un esempio significativo l’analisi dei voti ai candidati alle regionali. Solo qualche esempio: qualcuno conosce la storia di Roberto Conte, già decaduto da consigliere regionale perché accusato di concorso esterno alla camorra, che, nell’Alleanza di popolo, ha preso a Caivano 181 preferenze? E Filomena Bilancio che ne prende 336 nell’UDC? E Lello Sentiero, con 166 voti in Noi Sud?
L’elenco potrebbe essere lungo, ma la questione non cambia.
I partiti sono morti, ma tutti dovrebbero comprendere che non c’è ad oggi alcuna alternativa, ai rituali democratici dello stare insieme su una idea condivisa di futuro, eleggere i propri dirigenti attraverso i congressi, selezionare gli amministratori più bravi e preparati. Ad oggi i partiti hanno, certamente, smarrito la propria strada, ma dovremmo sempre preferire chi alza la serranda di un vano, facendo immani sacrifici economici e personali, per riunirsi e discutere di futuro. I cittadini che votano non sono indifferenti al corretto funzionamento del processo democratico.
I partiti sono morti, evviva, quindi, i partiti che, però, devono trovare la strada per autoriformarsi.
Voglia di più politica? Sarebbe un segnale davvero positivo visto il degrado nel quale è precipitato la politica a tutti i livelli. Un segnale di ripresa della partecipazione? Anche questo sarebbe un segnale positivo visto il generale disimpegno che vede le giovani generazioni in tutt’altre faccende affaccendate (anche per colpa dei partiti stessi).
Ovviamente non entro nel merito né della relazione del segretario uscente, né dei numerosissimi interventi delle delegazioni presenti che hanno sostanzialmente riempito la sala.
L’occasione è per riflettere sulla ormai “morte” dei partiti come sistema su cui si fonda la politica, cioè la fine di quel ruolo che ha caratterizzato la nostra vita attraverso la formazione e selezione dei gruppi dirigenti, la determinazione del consenso e il suo corretto uso, la mediazione positiva tra i diversi interessi dei diversi gruppi sociali, il richiamo ad una comune etica, ad un comune sentire, fosse anche di natura ideologica, al corretto uso delle istituzioni per poter decidere il meglio per una comunità, piccola o grande che sia.
Questo ruolo valeva anche nel periodo peggiore della nostra storia politica, quella tangentopoli che ha visto i partiti fare incetta di finanziamenti illeciti. Cosa assolutamente deprecabile che giustamente è stata scoperta e combattuta.
Ma oggi siamo in una condizione ben peggiore. La corruzione è dilagata a livello personale e/o di piccole consorterie. I partiti hanno perso completamente autorevolezza nei confronti degli eletti, sbagliando già nella definizione delle liste che vedono candidate troppe persone che non hanno acquisito alcun merito per esserlo, non avendo fatto nessun percorso politico serio. E questo determina inevitabilmente il trasformismo, il passaggio di casacca continuo, la sostanziale incapacità e impossibilità di decidere quello che è giusto e quello che è il meglio per la collettività.
Quindi i partiti sono morti. Ma c’è qualche altra cosa all’orizzonte che li possa sostituire? Si certo, le associazioni, le liste civiche, le fabbriche, gli atelier, le parrocchie ecc… Ma quando ci sarà da formare le liste elettorali per quella che viene definita dagli studiosi “la sintesi perfetta”, l’espressione del voto, chi lo farà e chi risponderà del proprio agire, delle cose che farà una volta ricevuti i consensi?
Alle ultime amministrative si sono presentate 19 liste; di queste solo 6 si rifanno ad un partito e hanno formalmente una sede; di questi 6 solo 4 forse riuniscono normalmente i direttivi o si vedono collettivamente per fare riunioni per discutere dei problemi di Caivano; di questi 4 solo 3 forse fanno dei congressi per eleggere i proprio gruppi dirigenti.
I cittadini non sanno nemmeno che hanno votato per liste cui non potranno chiedere conto a nessuno.
Se l’analisi la spostiamo dai partiti ai candidati, la questione diventa ancora più drammatica. Ne è un esempio significativo l’analisi dei voti ai candidati alle regionali. Solo qualche esempio: qualcuno conosce la storia di Roberto Conte, già decaduto da consigliere regionale perché accusato di concorso esterno alla camorra, che, nell’Alleanza di popolo, ha preso a Caivano 181 preferenze? E Filomena Bilancio che ne prende 336 nell’UDC? E Lello Sentiero, con 166 voti in Noi Sud?
L’elenco potrebbe essere lungo, ma la questione non cambia.
I partiti sono morti, ma tutti dovrebbero comprendere che non c’è ad oggi alcuna alternativa, ai rituali democratici dello stare insieme su una idea condivisa di futuro, eleggere i propri dirigenti attraverso i congressi, selezionare gli amministratori più bravi e preparati. Ad oggi i partiti hanno, certamente, smarrito la propria strada, ma dovremmo sempre preferire chi alza la serranda di un vano, facendo immani sacrifici economici e personali, per riunirsi e discutere di futuro. I cittadini che votano non sono indifferenti al corretto funzionamento del processo democratico.
I partiti sono morti, evviva, quindi, i partiti che, però, devono trovare la strada per autoriformarsi.
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