martedì 12 agosto 2008

Il rito tribale

Ho sentito spesso parlar male dei riti tribali di alcuni gruppi etnici africani o di civiltà considerate, a torto, “arretrate” dove si continuano a fare sacrifici umani che rispondono a tradizioni antichissime. E nessuno si indigna, se non per poco, dei nostri (delle civiltà cosiddette avanzate) riti che sono ben più gravi dei riti “tribali”. Come definire se non in questo modo le innumerevoli morti sul lavoro che hanno da sempre costellato la nostra vita, il più delle volte nel silenzio più assoluto degli stessi media. C’è voluto il richiamo del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, per accendere i riflettori su un dramma che non può più essere tollerato, che non attiene più ormai al novero delle “tragiche fatalità”, ma che risponde esattamente alla tragica conseguenza del fatto che un essere umano, un lavoratore, non è più un valore in sé: non è carne e ossa, né mente e cuore, ma un “numero”, funzionale al raggiungimento di altri fini che non sono l’essere umano stesso.
Quando torneremo a capire che nessuna crescita economica, nessun aumento del PIL, nessuna globalizzazione, nessuna apparente modernità potrà restituirci (si anche a noi tutti) e potrà restituire a quei bambini il proprio papà? Nessuno potrà colmare le emozioni, gli affetti, l’amore che quel papà, marito, lavoratore, essere umano avrebbe potuto ancora trasmettere.
Certo ci sono leggi a tutela dei lavoratori, sono state inasprite recentemente le sanzioni, con il roboante dissenso della Confindustria, mancano spesso i controlli. Manca il personale e qualcuno vuole dimezzare i lavoratori del pubblico impiego. E’ la stessa logica di chi diminuisce le manutenzioni (vi ricordate gli innumerevoli incidenti ferroviari?), diminuisce l’attenzione sul lavoro aumentando, sul bisogno di guadagnare qualcosa in più, surrettiziamente le ore di lavoro. E chiede ancora di detassare gli straordinari e non invece restituire il maltolto che in questi anni hanno impoverito i salari e gli stipendi a fronte di un aumento iperbolico dei profitti o delle speculazioni finanziarie (ancora oggi tassate al 12%).
Tutto questo sempre e solo in nome della “competizione”, della “crescita”, dell’unico valore oggi imperante, quello del “dio denaro”, quello che riempie le tasche dei pochi a danno dei tanti.
E che lascia tracce di sangue dietro la sua scia…
Rispetto a questa impostazione gli esseri umani cosa vuoi che siano? E che importa se si continua a distruggere il nostro ambiente naturale? Sono solo “pietre d’inciampo”, come dice don Ciotti. Ma le “pietre d’inciampo” che sono considerati “fastidiosi” ostacoli verso lo sviluppo, potranno diventare uno sgambetto rovinoso e decisivo per una inversione di tendenza.
C’è bisogno di nuovo umanesimo che rimetta al centro non la ricchezza in denaro che logora e distrugge sentimenti, valori, ma la ricchezza dell’essere umano e del suo habitat, dove territorio, lavoro ed economia siano in equilibrio armonico.
C’è bisogno di un intervento più specifico del mondo della cultura che deve farci comprendere meglio come uscire dalla sempre più evidente crisi di questa ormai presunta “modernità”. E siamo perfettamente convinti che per porre fine a questi scempi, non bastano da sole le leggi. Infatti le norme che pure sono state prodotte, che è stato importante produrre, non sono valse a gran che. La soluzione non va trovata solo sul piano del diritto. Va riscoperto il senso delle cose e della vita.
Scriveva il prof. Mario Alcaro nel 2006: “…nella tarda modernità, con la crisi dell’idea di progresso e del mito delle magnifiche sorti e progressive dello sviluppo economico e tecnologico, si comincia ad intravedere che la vita umana, privata del suo radicamento nel contesto naturale, perde ogni giustificazione. Non solo la vita, a dire il vero, ma anche la morte”
I riti tribali sono una scelta legata ad una tradizione che può non essere condivisa; la morte di un lavoratore è una “scelta” fatta dal “mercato” e dalla necessità (di chi?) di produrre sempre di più a costi sempre più bassi.
Ma quanto “costa” in termini sociali le tante vite perse sul lavoro? E quanto quelle sulla strada (altro tributo alla presunta “modernità)? Il battage pubblicitario dei media e del governo Berlusconi, si sa, va in ben altra direzione; la sicurezza è prendersela con i più deboli, con i più poveri, con, per dirla con Frantz Fanon, “i dannati della terra”.
Enzo Falco

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