E’ sotto gli occhi di tutti la stortura di uno sviluppo economico che si è voluto misurare solo ed esclusivamente con il reddito prodotto (PIL):1. le auto occupano gli spazi della città e hanno reso la nostra aria irrespirabile;2. le risorse idriche ed energetiche, con il ritmo di consumo che abbiamo, che peraltro riguarda solo una parte del mondo, sono destinate a finire;3. i rifiuti, al di là dei problemi di smaltimento che abbiamo già oggi, sono destinati a crescere vertiginosamente; stiamo facendo la fine della città di Leonia mirabilmente descritta da Italo Calvino;4. negli ultimi 50 anni abbiamo perso circa 300 mila specie vegetali perdendo un patrimonio di biodiversità enorme e straordinario;5. tutto questo riguarda, in particolare, una piccola parte del mondo mentre il resto vive nella più profonda delle povertà.Che razza di mondo abbiamo costruito? Soprattutto se a fronte di questi aspetti negativi tutti, nessuno escluso, parlano solo ed esclusivamente di una maggiore “qualità della vita”.Eppure già Antonio Genovesi nel XVIII secolo, da Napoli, parlava di economia civile e del fatto che l’aumento oltre una certa soglia del reddito pro-capite non aumenta la felicità, né la “qualità della vita”.Analizziamo quanto sta succedendo:a. la capacità produttiva aumenta sempre di più;b. non aumenta invece il numero di compratori perché la ricchezza si concentra nelle mani di pochi;c. se il mercato non si espande numericamente e geograficamente è chiaro che deve accelerare temporalmente.Questo avviene attraverso due meccanismi:d. l’innovazione continua dei prodotti che rende rapidamente obsoleti quelli “vecchi”;e. cambia la scala dei valori: l’oggetto non ha più un “valore d’uso” ma è funzionale all’apparire e assume un “valore simbolico” quindi destinato velocemente ad invecchiare.Se queste sono le storture del nostro modello di sviluppo che ci da ricchezza (a pochi per la verità) e non “qualità della vita/felicità” è ovvio che bisogna pensare ad un modello di sviluppo diverso.Per dirla con Pasolini dovremmo puntare al progresso più che allo sviluppo ed in ogni caso ad uno sviluppo che non abbia come parametro di valutazione solo la ricchezza prodotta (PIL).Dobbiamo promuovere la crescita di una economia parallela incentrata sul “valore d’uso”; promuovere le attività che producono tasselli di qualità della vita anziché merci destinate al solo consumo:- manutenzione urbana, cura del territorio;- educazione/istruzione;- industria della cultura/cultura autoprodotta/spazi di aggregazione e di cratività;- riscoperta e valorizzazione intelligente, utilizzando in positivo le nuove tecnologie, dei saperi tradizionali;
-agricoltura biologica e di qualità;- trasporti e mobilità ecocompatibile;- aumento delle zone pedonalizzate;- uso di bici e auto ecologiche.Tutto questo è possibile se si riesce a comporre preventivamente gli interessi dei soggetti sociali, economici e produttivi che, di norma, configgono per poi ricomporsi solo a valle di una dura competizione.E’ ovvio che per determinare questa composizione preventiva bisogna attivare i meccanismi di partecipazione attiva e costruttiva non solo del mondo dell’offerta mossa dal motore del profitto, ma anche e soprattutto dei cittadini, singoli o associati.Tutto questo si chiama sviluppo sostenibile.Ma favorire la partecipazione dei cittadini e delle rappresentanze presenti nel “Forum della Sostenibilità” per la definizione e condivisione degli obiettivi e nell’individuazione delle azioni prioritarie da attivare, non significa dare vita a forme assembleari inconcludenti. Esistono ormai veri e propri metodi favoriti da esperti facilitatori. Uno dei più utilizzati è l’EASW. Si parte da un possibile scenario immaginato e si costruisce, attraverso incontri successivi, sulla base degli elementi conoscitivi acquisiti nelle fasi precedenti, un Piano di Azione Locale, che sarà lo strumento di conoscenza e di attuazione per i decisori politici, ma che vincola responsabilizzandoli tutti gli attori che hanno partecipato alla sua stesura.Insomma, con la partecipazione attiva di tutti, si creeranno quelli che sono stati definiti gli “Atelier del futuro”; veri e propri laboratori “artigianali” di idee per un futuro migliore, se possibile per noi stessi, ma soprattutto per le future generazioni.
Enzo Falco
venerdì 1 agosto 2008
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